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Qui sulla panchina di viale Speranza del Parco di Bloggolandia.
Esterno sera, direbbe Strelnik. Sottofondo: My Way – Sinatra.
Un uomo incorniciato e un’altro a fianco che con la punta dei piedi giochicchia con un Pallone.
Son passati dal via, e son quasi alla fine del giro: han ritirato le ventimilalire e ora discutono sulla posta in palio. Prima del traguardo.
Insomma a uno dei due gli è uscita la frase che la gioia nasce dalla finzione.
Marco l’ha pronunciata, per la precisione.
lo, a Marco, lo ammiro: forse perchè sotto sotto latente sento un punto focale diametralmente opposto alla concezione che ho di questa mia vita, ma nello stesso tempo così vicino.
Che per me è felicità, e di questo ne sono assalito.
Che non nasce dalla finzione. Punto.
Ora servitemi le repliche, poichè già ho dibattuto varie volte e molte di più ho ricevuto sguardi da amebe.
Realizzazione d’una coscienza dell’esistenza, portata dietro da chissà quale passato leopardiano.
E condita da beni patinati solo per esaltare quel che vorremmo essere e che mai saremo ma che nel mentre ci illudiamo di finger d’essere.
Io sono l’incastro stampato male.
Riverenza.
Non mi adatto, non mi riconosco.
Ossequi.
Forse faccio davvero parte di un altro mondo.
Sono consapevole di non c’entrare niente.
Guardo gli sboroni e non mi ci ritrovo.
Guardo i capi coi soldoni e non ne vedo un senso.
Guardo le chantose in cerca di uomini + carriera + Porsche carrera e non mi riesce di capirne il metro.
Guardo le ragioni di troppe esistenze che non si accorgono d’esister per niente.
Chiedo: a cosa aspiri? Ma che t’aspiri? E mi viene una crisi di rigetto.
Finzione per me che non sono attore è quella di una vita senza essenza.
Ma non è felicità per me: solo modellata non emozione perversa.
Teleguidata, dissacrata guidata da un profumo di pifferai magici col loro flauto verde oro.
E tu
depressi
perchè
declassi
e pensi
di non aver classe
e non t’accorgi
di quanto vali
perchè da nato
t’han già tranciato le ali?
Corri, corri corri e non sai neanche dove vuoi arrivare.
Di la verità: lo sai?
Ti fermassi un momento ad ammirare, ad ammirarti, forse mi capiresti. Ti capiresti.
Ma è difficile dirlo alla gente quando a quella non gliene frega niente.
E se lo fai, se ci provi intendo, sconforti.
Nessuno a spiegarti, nessuno a disincastrarti.
E rinneghi credendo che il tuo male sia sintomo d’infelicità.
La gioia, e mi dici, nasce dalla finzione.
Sbagliato.
Sbagliato Marco.
Sbagliato Marco o come ti chiami tu che mi stai leggendo.
Sbagliato, per me che non sono niente.
Io traccio la mia linea per terra e da qui parto, anche solo.
Controcorrente se occorre darti la scossa.
Pigliatemi a randellate col ramazzo se pensiate che sia un pazzo.
Fate pure, io respiro.
Con un bacio.
Ci sono abituato.
A continuare a dire che la felicità nasce dalla finzione, questa è vostra discesa semplice nell’ammettere a voi stessi che solo la sofferenza produce esistenza, che da un parto di dolore se ne viene al di qua e col dolore si trapassa al di là.
Ma non è la nascita conseguenza del massimo affetto?
E l’accarezzare un bimbo, comporre parole, vedere il sole: ma quale finzione?
Così liberi di compatirci non ci accorgiamo di imprigionarci in questo schema e non assaporiamo senza coraggio come anche il dolore è fonte amara di bellezza?
Ah, che parole scandalose, ma come si permette, ma chi è questo signore?!
Non avevo la gioia accanto a me da sempre.
Poi un giorno che non vuol dire niente, la svolta.
E da allora mi son messo ad amarlo questo mondo, partendo dal lato più oscuro, mi si conceda il termine, dal buco del culo.
E da li sono riemerso, e ora anche se sto male, trovo sempre un pensiero che ribalta il mio vero.
Rivoluzione, dicon le Contesse.
Costa fatica, ma da soddisfazione.
Prima le signore. E i bambini.
Guardate i bambini, e trovatemene la finzione.
E se non la trovate, ammirateli per ore.
Non sò che altro dire, se non che vorrei convincervi uno per uno ad amare questo mondo,
alzarvi la mattina,
incazzarvi come me per qualcosa che va storto,
ma subito ricordarsi che in fondo,
al massimo, fra cent’anni,
non saremo che ricordi.
- Andiamo?
- Andiamo.
Si alzano, pigliano pallone e quadro, e se ne vanno a bere una birra assieme in quel locale scarno.