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Stanco d’essere come baule chiuso in questo viaggio.
Messo in un angolo, buono per il prossimo controllo prima dell’atterraggio.
Di vedere rassegnazione nei volti delle persone, di non esser ascoltato per quel che dico o che faccio o peggio ancora di essere scivolato sulla patina di queste parole.
Come buono di consumo a ore.
Fatemi un favore: portate altrove le vostre preoccupazioni ipocondriache di scarso calore e fatevi venire il mal di vita almeno per rendervi conto di quanto ipocriti siano a volte i vostri richiami di grida.
Girate al largo di quel che non è una festa, state quieti accanto al vostro addormentato cane in guardia d’acquisto al mercato delle pulci.
Stufo di spiegazioni senza motivo e percui senza essenza d’essere ragioni.
Arroccato sull’unico albero dalle radici profonde che ancora regge il peso dei vostri appiccati incendi di malavita.
Che avete da buttar fuori odio sparso, distenderlo a ventaglio e pretendere d’usarlo come passo sul marciapiede?
Uno per uno a schiaffi da rianimazione vi si verrebbe da dirvi: mostratemelo allora il motivo di tanto abbaio e a carte scoperte giochiamoci il fatto di comprendere se per davvero il vostro latrato stanco valga il succulento piatto.
Perchè secondo me vi si è persa di vista la testa.
Vi si è fuso il collo coi padiglioni.
Non ascoltate più il battito e state lì buoni solo a modularvi sulla frequenza dei vostri inutili lamenti.
E i radiodrammi sono ben altri.