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Gl’aulici sapessi non han mai picchiato il culo per terra.
Ogni centimetro epidermico è insito d’un male che mi si è diffuso dentro.
Teso, agitato, con la caffeina d’una adrenalina sufffomigio di un urlo bestemmiato che s’attarda allo sfogo.
Sarà per questo che mi sto maculando di lotte che non m’appartengono la pelle e sento uno sfinimento latente dentro.
Diresti, curiosandomi dentro, che sto morendo.
Ma d’una falce a doppia mandata, che ti lascia in vita come puttana ad ore.
Che ti costringe alla pala della fossa, al cucito del tuo cappio o se preferite alla pistola in abbinamento alla rivista patinata d’impegno nella quale sono inserto.
Sto fondendo muriatico d’acido, sento la mancanza partire dalle unghie e sciogliermi il cuore: ho già scordato gli specchi in casa e non ho più voglia d’averne ancora.
Il serbatoio è secco di passione, la mia lingua riposa morta dove non batte più nemmeno un dente e appassiscono i fiori sulla finestra sporca della mia cella.
Non è momento per essere me stesso.