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Primitivo.
Ancor umido screto e la prima forza che m’avvolge alza le palpebre.
Ode primogenita, palese sentenza: chi io sono e chi io sono sano e chi io debbo essere umano.
Chi io mi muova, chi io pensi chi io m’atteggi.
Esalo il primo vagito e già son quel che in fin di nascita m’hanno posto con altre mani.
Ecco, secondo nome Luigi in memore Pirandello, io non sono nè questo nè quello.
E’ più una chiesta, un obulo cortese senza grosse pretese: lasciar che io come voi sia me e non più quello, svagar quel che parte dalla mia mente senza l’imbrago delle vostre catene.
Ve lo vado a ripeter cortese poichè l’animo al quale sono appeso usa una lenza incipriata al meglio delle vostre saccenti laterali visioni: ognuno avrebbe già in grembo il proprio granello, basterebbe lasciarlo sotto natura e veder che succede.
E invece.
Troppe elisioni monche d’altri han portato ad un possesso d’animo espropriato.
Ballate e canti catodici s’apprestano allo jodel difronte al mio termosifone supplente utile allo sbrinamento degli inutili apatismi che fidelizzano i buoni propositi.
Per protesta decido di porgere al succhio la mia voce dal Sindaco farfugliandoli la mia credenza di favola in cui dei Signori che sanno già tutto di tutti si credono che uno
se non parla allora non ascolta.
Tanto mi ascolterà, lui è buono.
Invece sogghigna e spiattella: certo ho a cuore tutta la cittadinanza ed in particolare chi mi segnala evidenti lacune sfuggite ai miei giunti che come lei di certo sa, non può non sapere, caro Sghembo, non sono altro che l’ingiunzione di un pagamento già impegnato al momento del suo riportato in alto vagito stessssso.
Esse sibillina: io m’arrendo al vostro me stesso, lui sentenzia sinuoso di nuovo dicendo:
‘Ben bene sfrigolo felice di cotanta sua speme.
Per questo intendo tener nome alla mia solerte accondiscendenza e chiedo un walzer d’inizio anno al sapore d’un dolce sfogliato.’
Senz’accorgimenti ecco quindi il perchè del mio dindillarmi ebbro di prematuri inganni .
Fogo d’umori e gongolo danzante.
Non si saprà mai chi io fossi, chi io t’amassi,
mondo già stampato, macero di solitari strambi.