mar 6, 2006 - Senza cicatrici    No Comments

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Banchetto d’arcobaleno.

Ciao D.

Non buono
a fare il censore
tanto meno il recensore,
io,
perciò del tuo inchiostro ti dirò
solo quello che la pelle m’ha imbrattato.

Per quanto sia lontano di molto
da un buon immaginario strambo,
il primo termine per te non è quieto: vomito.
‘spetta. Non è fraintendimento.
Spesso mi passano sotto al naso pagine piene e vuote
che scorrono senza lasciarmi segni addosso
mentre Matteo t’arriva diretto:
quando tortura mi tortura,
quando accarezza i fiori m’accarezza
ed io per reazione vomito dolore e amore.

Di secondo, ti offro l’attenzione.
Premunito di te che sei il primo
visto in carne e poi di carta
ho pranzato del tuo pasto
come villano al banchetto reale
spizzicando prima incerto le posate
per poi al fine tuffarmi nel tuo mondo
senza ritegno con tutto il corpo.

Volevo stare
come uno distante dal tuo libro
perciò ho affrontato la tua città
giungendoci a piedi
e mi son preso tutto il tempo
di arrivare sul luogo dell’incidente
gustandomi l’aria da te descritta.

Una volta lì, col sangue per terra,
ero già a mio agio.

Tolte le barriere,
il resto è stato un coinvolgermi da sbrano.
Ed è strano: tipo come se lo sapessi di te
dalla pelle che porti
che dentro c’erano parole enormi.

Mi resta solo da darti un abbraccio:
la prossima volta che t’incrocio
ho voce per chiederti e occhi per ascoltarti.

Con affetto,
lo Sghembo.

* A provarci, per chiesta, l’ho dipinto.
Tu, se vuoi, qui lo mangi.

Se hai due ciacole senza spese poggiale sotto nel bianco.