lug 12, 2007 - Senza cicatrici    No Comments

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Focali.

No, ‘speta, fam capì.
Che an ghè se prope mia.
Cercherò d’addolcirmi circoscrivendomi affinchè tu riesca ad intrappolarmi in un perimetro senza balbuzie.
L’avere la poesia come colonna portante incisa nel mondo NON significa non avvertirne il peso, disconoscere l’ affanno per il pane quotidiano, esser pudico senza bestemmiare dinnanzi alla morte, abbaiare alla sfiga o imbambolarsi al tramonto senza aver mai giaciuto al freddo.
L’aver la poesia come timbrica sul passaporto NON t’imbambagia nel dorato mondo del tutto mai tatuato, del comodo passaggio dal via senza nessuna prigione al giro, dell’adagio rettilineo di chi non suda le colline divenire rifugi.
L’aver la poesia come impronta sottosuole NON ti identifica col cieco pasciato stilita sordo al realismo del tondo o col privilegio del non aver mai dovuto esprimersi col capo chino dei ti prego perchè si potesse essere riconosciuti per avere un riconoscimento d’esistenza.
Anzi.
Aversi di rime cosparsi è un’essenza di chi già ha sbolinato via fin troppa merda.
Due gengive alte come cicatrice sull’asfalto sotto la fronte a carrugio maturano solo dopo una lunga esposizione a personaggi tutti equi e non molto distanti da chi si crede di un credo abbarbicato ad un pensiero quadrato molto vicino al tuo orticello transgenico.
Perciò se aspetti un momento m’allontano dal tuo ritorno d’eco per osservare l’offesa blasfema che porti al guinzaglio divenire comica abbastanza per distogliere il mio sguardo verso ciò che veramente importa a questo porto.

Non so più quanto far capire al toner delle tue copie carbone quanto di perso ci sia nel sentirsi uguali nel credo dei superiori o quanto resto d’ un colore pastello basterebbe a dipingerti diverso.

Se permetti,
mi porto a sorridere all’onda.

Se hai due ciacole senza spese poggiale sotto nel bianco.