No dico, davvero non mi guardare con quella faccia, ci scommetto una vita che t’è capitato anche a te…po’ pur S… va beh allora non te lo dico comunque è vero…vero cosa…accendi i fari è buio…non è che mi ci metta davvero d’impegno ma è che capita…che razza di radio, si prendesse una stazione decente…muoversi con gli occhi,strada deserta, manco un lampione…comunque fai tutto e non ti accorgi di niente, in realtà è come se ce l’avessi già in testa, già bello e costruito ma poi il muro è la realtà…ecco ci mancava solo una canzone depression, cambia stazione, buio che non si vede se non te lo immagini…ma è vero, testa al finestrino, scommetto che ti succede anche a te… po’ pur S….male alla testa, botta che botta come è successo, idiota…un sottofondo, un’inquadratura, un film, ma non è un film, ma tanti intrecci…solo fari di posizione speriamo poche curve…strada o binari, comunque sai dove vai ma o ti scegli o ti lasci scegliere, paralleli… e poi all’improvviso si incastrano tutti e immagini, cioè pensi quel che non è o quel che vuoi che sia…disordine, riordinare la mia stanza, riordianare la mia vita…no certo ti capisco succede a tutti…si vede niente..no?…Capisci, come un film insomma, ma mi ascolti?…che male alla testa…ma è l’unico profumo che hai…si certo, capisco, ma mai un finale uguale, nel senso nella mente è quello giusto ma poi chi sa perchè chissa per…insomma un intreccio difficile…polmoni ok, cuore va per la sua strada, testa, che mal di testa…buono è? lo spruzzi, lo senti, lo ricordi ma poi non c’è, è questo il trucco che fa male.. mal di testa…comunque capisco.
Sorrisi,abbracci, profumi,compassione.
Strada senza un lampione.
Nemmeno che esista un tempo, giuro.
Ma il problema è il bagnoasciuga.
Il Pallone d’Agosto rotola sulla spiaggia e vi passa accanto spruzzandovi la sabbia negli occhi.
Prendetevela con i bambini che giocano a costruir castelli di sabbia, i più bravi lo faranno per tutta la vita, i più fortunati verranno ricordati per averci abitato, in quei monumenti precari esposti al sole del mondo.
Quelli a metà del tragitto, a cavallo dei trenta, ne chiedono le stanze in affitto, di quei castelli.
Tutti comunque prima o poi credono di aver sognato l’arcobaleno.
E si svegliano.
E il naso è bagnato, il temporale passato.
L’amore sognato, il castello distrutto.
E si ricomincia.
E intanto il Pallone rotola, fino alla riva.
Un’onda lo prende in grembo, un’onda lo culla, un’onda lo riporta al bagnasciuga.
Terra di mezzo, tra chi sta in mare e chi è spiaggiato, approdato o naufragato.
Terra a metà, orme che cambiano di continuo.
Onda dopo onda.
Bimbo, hai visto per caso il mio Pallone?
Il problema è il bagnoasciuga.
Verso un’atipica fine estate 02, e probabilmente ogni Tg già vi ha detto che è la più anomala degli ultimi 30-40-50-1000 anni.
A seconda del redattore, dell’agenzia e del commentatore che può produrre una variabile incostante di papere sappiate che ogni 365 giorni instabili vi sentirete dire che quest’anno, ma solo per quest’anno, siete partecipi della più calda e/o più bagnata e/o più assurda estate degli ultimi X lustri.
…
“D’altronde è così”, dicono le rughe anziane abbassando l’asse di coppe sopra la tovaglia plastificata a quadretti rossi e bianchi della Trattoria Assunta.
“D’altronde è così”, picchiando la carta non troppo forte per non far gli sboroni e per non rovesciare il calicino di bianco scientificamente posato sull’angolo estremo dell’area di gioco.
“D’altronde è così”, dogma asettico fra un grido di “SCOPA!” e il sussurro del pettegolezzo sulla figlia del suocero della zia del tale che aveva il casale che si imboscava col marito della di lei compianta facente parte della famiglia dei soprannomi di paese che raccolgono un’anima.
“D’altronde è così” e te lo dicono da lontano ma non si spostano.
E’ solo la voce che arriva, credo, con un attimo di ritardo.
Comprensibile, visto gli anni che ha dovuto attraversare per fare il giro di una vita e arrivare da te.
Semplice e increspata.
Una voce così, solo i vecchi la sanno fare. Se ci provi tu è comicità, se la fanno loro è storia.
E quindi ci credi.
Poi gli cerchi gli occhi, per capire, sperare, che oggi vedano il sole.
Ma gli occhi non li trovi.
Sono fessure con gemme di pupille.
La fronte è più bassa per il peso degli anni, il raggio di sole segue la curva della schiena piegata che ancora trasuda sudore e quando pensi di averglieli visti, gli occhi, già sei perso nella cartina geografica delle loro mani.
Nemmeno il colonnello Ciocci Yoghi Giuliacci potrebbe competere con loro. Sconfitto in partenza,senza nemmeno avere il tempo di attaccarsi al satellite, al centro Epson e alla madonna di Ceznokova.
A loro basta alzarsi bestemmiando dal tavolino (se ti scegli il socio peggiore a briscola sai già come va a finire) ,spostarsi bestemmiando su quella striscia di sabbia di 2 metri per 20 ( adesso le squadre le faccio io che il Toni ha l’artrite e mi pende sempre a destra e il Tito che è zoppo mi scavalca sempre il boccino), alzare gli occhi al cielo e decidere il destino del tempo, del loro solitario mondo, e della partita a bocce del pomeriggio.
…
-Toni, sa diset, al pioerà amò?
-Sappie me, so mia el Bernacca!
D’altronde è così.
Non puoi portar da diva se gli occhi pensano al nulla.
Devi crearla questa terra, non puoi esser solo che una farfalla.
Hai le ali ma non ti guardi la schiena.
E mai possibile che debba sempre insegnarti a sognare?
Chiedilo al bimbo se è felice. Chieditelo.
Allarga le braccia e comincia a volare.
Con l’eleganza dei tuoi passi.
Per uno che arriva da Bergamo, i paesi nordici son nordici, non gli entra in testa il termine Scandinavi. Stona.
Nordico è più familiare, sa di freddo, e uno di Bergamo che vede il sole – quello vero – solo a Agosto, il freddo se lo porta senpre un pochino dietro.
Così quando arrivi a Copenaghen mentre a Riccione sai che c’è qualcuno che si butta tutto ignudo dal Kamikaze dell’Acquafan, beh quando arrivi in questa strana città e metti il naso fuori dal camper ti accorgi che il Freddo qui, ha la F maiuscola.
Se ne sbatte di te, ti piglia in giro, e ti convince che forse era meglio portare un maglione in più e fare meno il divo alla partenza.
Ma tant’è, ora ci sei.
Mi son messo a parlarvi del freddo non perchè sia l’argomento di questo pezzo di blog, ma perchè altrimenti non vi incastrate nello scenario in cui tra poco entrerete.
Prima serviva congelarvi.
Ora, pensate a questa piazza, la piazza centrale di Copenaghen, sa il diavolo se me ne ricordo il nome, ma dovreste vederla.
Arrivi col treno e ci sei già in mezzo, a destra parte la via principale, poche auto,molti tram, incontabili le biciclette. A sinistra palazzoni, mura senza tanti fronzoli, ma le finestre sono uno spettacolo. Tanto essenziali fuori le case quanto piene di vita all’interno. Ogni finestra un acquario, ma niente pesci tropicali, solo persone. Ogni finestra una storia.
Davanti ci sono i cancelli, sbarra,verde,sbarra,verde,sbarra,verde. Dietro le sbarre, il Tivoli.
Tivoli è un parco. In mezzo alla città, a uno sputo dalla piazza,giuro c’è un parco.
Che parco è il termine giusto ma non sai come associarlo a quel che vedi. Timbri il biglietto, entri e senti. Attrazioni, giochi, montagne russe son le prime che scuotono le orecchie. Hai un flash e pensi di essere a Gardaland. Ma qualcosa non quadra. Sei tentato di staccare i colori sulle faccine del cubo di Rubik che hai in testa, barare, e convincerti che davvero tra poco vedrai il draghetto Prezzemolo. E invece sei in Danimarca e capisci che la differenza è un passo più in là, quando dimentichi gli ottovolanti e colleghi il cervello agli occhi e ai chioschi che ti ritrovi davanti e che prima eran vuoti, insignificanti ma che adesso stanno prendendo vita.
Chioschi perchè non ce n’è uno solo, sono sparsi. Ma a te colpisce il primo, quando cinque elegantoni che sembrano appena sbarcati da una serata di gala su un transatlantico ti passano accanto con infinita eleganza e ci vanno dritti in mezzo.
Scoprono i teli, si siedono.
E comincia la musica. Blues in questo caso. Ti eri seduto su una panchina all’inizio perchè non capivi bene. Ora ti alzi, per rispetto di quel blues nato dal nulla ma che ti sorprende. Blues, in mezzo al parco. In mezzo alla città. Son neanche le quattro del pomeriggio e questi mi fanno blues.
Ruoti la testa, segui il sentiero. Altro chiosco. Soul. Ruoti la testa, segui il sentiero. Altro chiosco. Jazz. Una via crucis del sound.
Alla fine arrivi all’auditorium, lo leggi sul cartello e pensi: au di to rium. Musica colta. Lirica Classica. Questa poi. Entri.
Pianoforte e Clavicembalo. Ascolti. Esci dopo un ora di accordi lenti e mielosi, sai che domani comprerai lo stesso la Gazzetta dello Sport in bianco e nero di quelle che trovi nelle edicole all’estero ma intanto hai ascoltato pianoforte e clavicembalo.
Trotterelli ancora in mezzo al parco, è quasi il tramonto ormai, sei quasi all’uscita e trovi il palco. E sotto al palco jeans, magliette strappate, piercing persino sulle unghie.
Ti fermi, il tuo cervello fatica ad associare il piano sequenza.
Poi è di nuovo musica. Rock. Blood Houd Gang. Il bassista a un certo punto si incendia i capelli, il cantante è un allievo di Axel Roses e a metà concerto si spacca una chitarra.
Notte. Esci dai cancelli.Sbarra.Blues.Sbarra.Soul.Sbarra.Jazz.Sbarra.Classica.Sbarra.Rock.
Esci e ti ritrovi in piazza (ricordate?).
E torno al punto di partenza, la piazza. Solo che ora è notte, anche se rimane la piazza centrale.
Ma adesso è diversa, ci son degli scatoloni neri in fondo e un coso con delle lucine, ma non si vede bene perchè son coperti da gente che ci passa davanti.Danzando.
Capisci quando sei così vicino da scrollarti dalle orecchie gli assoli del chitarrista rinchiuso dietro alle sbarre del Tivoli.
Ti avvicini e lo senti.
Valzer.
Due casse, un amplificatore, i lampioni accesi.
E in mezzo coppie di ballerini, di ogni età, di ogni sesso, anche incomprensibile agli occhi.
La piazza è piena, la città è sospesa a ritmo di valzer.
Sembra tutta lì, Copenaghen.
Sembra tutto lì, per una sera, il senso della vita. A ritmo di valzer.
Se ci andate, ricordatevi di portarvi un maglione in più.