Wonder boy
Colla di fumo, sguardo altezza tavolino.
Settebello, scopa, bestemmia che si sente fino alla chiesa.
Duecento lire, wonder boy.
Una spuma, un pacchetto di merit, una boccia che scavalca la sponda e finisce sulla piastrella.
- Fi piano, disgrassiach! – dal bancone la Sunta dispensa invettive e bianchini.
Corro al mio angolo,
entro nella cabina
dentro la sala
dentro al bar,
fantascienza anni ottanta da numeri senza prefisso senza dottori misteriosi.
Swissh e puff, mi ovatto richiudendo la porta pesantissima e mi diletto mentre leggo l’elenco altissimo di paesi lontanissimi tipo Gaverina. Se avessi un gettone avrei il mio bel minuto di connessione. Non ce l’ho: mi accontento di sapere che sono le undici e ventitre minuti, le undici e ventitre minuti, le undici e ventitre minuti.
Click, swissh e spuff, torno al mondo spingendo la porta leggerissima che mi ridona l’aria calda della mia domenica in maggio di rosario d’infanzia.
Salto in auto, lui l’accende da signore vestito a festa e senza le cinture allacciate la valigia è quella di un lungo viaggio.