nov 13, 2006 - Senza cicatrici No Comments
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Appunti da trasbordo.
Sopito o sedato c’è un gran divario d’atto.
Braccio di ferro con la paletta m’impone di ricetta una tregua.
Ci sono voci che t’accolgono d’un sussurro per poi, all’indietro, toglierti un fiato da far tremare i polsi ai pianoforti.
Un giorno ti scriverò dal lontano.
Tornerò a permettermelo,
che adesso ho ancora da sgranellarmi questo chiodo che non se ne esce almeno fino allo scalzo dell’anno.
Rimetterò la penna nella sabbia e ti profumerò di porti, usanze e spezie come mai ne avrai addosso.
Lo farò, lo sai, questo da sempre è stato il mio credo di zaino.
Non fa nulla la sofferenza che senti, non curartene.
Serve per l’imparare a macinare, assorbire e detestare.
Abbi almeno una fede, che in un modo che non ha tempo torneranno a spezzarsi le catene.
Per prima cosa cercherò un vaso, lo riempirò della terra che ora d’accoglienza mi stringe e ci pianterò un seme col tuo nome.
Poi andrò giù al molo e finalmente, leggero, imbarcherò il mio progetto.
Sarà dura, ma meno d’adesso.
Sarò lontano ma solo per nostalgia.
Tornerò sempre da te.
Ma ci son troppi abbracci e troppe mani che aspettano,
troppe storie dentro uomini che non posso ascoltare oltre questa vita.
Voglio raccontarne perchè è la mia natura.
Scriverne m’aiuta ad essere più quieto.
Lo sai,
non resisterò mai.
Ci dev’essere qualcosa oltre quel punto.
Sento lo scricchilio, ormai è certo.
Hanno ricominciato a lavorar per me, lassù.
E in un modo o nell’altro verranno ad andarmi.
Spolvera la polvere,
spolvera la polvere,
allaccia i lacci,
allaccia i lacci,
punta il dito,
traccia la rotta,
fiuta l’aria,
scalda la voglia
canta e balla.