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‘Scolta non ho tempo davvero devo andare dai ti ho detto che devo ma scusa non lo capisci proprio sono di fretta ma dai un secondo ma che ti costa due minuti un attimo senti son già in ritardo lasciami che poi mi incazzo ma se non mi hai nemmeno ascoltato non ho tempo non ho tempo è importante ti rubo solo due secondi cosa ti costa dai un attimo che palle che sei ti ho detto CHE DEVO ANDARE cosa urli NON STO URLANDO e allora abbassa la voce che ti senton MEGLIO smettila vai vai pure allora vai CERTO CErto che vado buona giornata comunque buona giornata anche a te.
Porta da aperta a socchiusa a chiusa con elegante velocità scivola e interpone due mondi distanti da più di una rampa di scale.
Allora cos’è? Abitdudine? Assuefazione? Comodità? Cos’è che logora? Cos’è che rade con la lametta capovolta? Cos’è che una volta esploso d’onda d’urto non fa sopravvivere?
Mettiti li un giorno prima, te che una volta ci stavi bene, che avevi buttato la pallina nella boccia dei pesci, che vagavi tra color che son sospesi d’ebete sguardo d’amor rubicondo, e dimmi un po’ che ingranaggio hai perso.
Solo per saperlo. Saperlo prima del farti sedere a quel tavolino tra ventiquattro e dissimularti l’onesta falsità di una pizza silenziosa e autocelebrativa.
Lucidati prima ed ammettiti.
Alla fine del test capovolgi la pagina e guarda al di là delle mani che terrai strette.
Quanto calore ricevi? Tanto quanto ne dai?
E smettila di guardar chi ti passa accanto, ti si sta parlando di un paziente ridotto male e non ti accorgi di esserlo. Forse siamo ancora in tempo.
La fibra è giovane. Ma va motivata.
Rispolverati. Mettiti l’abito da gara.
Sgrullati. Via il torpore via il dolore.
Non cambiare le spezie, hai già un buon sapore.
Ok?
Ancora qui?
E apri sta porta. E corri.