Qualcosa a cui donare un nome
Con la testa sulla spalla del divano
ed i piedi incrociati sul tappeto imbronciato
Nina allungò i turbini del pensiero
fino ai palmi delle mani.
Irrequieta
al vento che bussava di sotterfugio alle finestre
e confusa da un qualcosa
che l’aveva sorpresa durante il giorno
- e a cui non era ancora riuscita a donare un nome -
disegnava con la coperta un po’ di calore
sebbene l’orlo del sole
fosse ormai già un ricordo
scomparso da ore.
Quando il suo sguardo
finalmente giunse oltre le fiammelle del camino
Nina sospese ogni attimo
e si riempì gli istanti
di quei suoi strani rompicapi bislacchi.
Perchè,
perché si domandò
se c’è spazio persino tra gli atomi
il nostro corpo resta sempre
stretto ed incollato a se stesso?
Nessuno spazio per fuggire
e troppi orizzonti mai detti.
E quando si va in pezzi
quanto tempo serve
per dischiudersi tra gli astri
e ricostruirsi tra la terra e il cielo?
Ed ancora:
se quei puntini che vedo lassù
sono il passato delle stelle
allora io
di quale pensiero
sarò mai il futuro?
Qualcuno
distante anni luce
nemmeno sa che esisto – pensò -
ma nemmeno il mio amore
a volte si accorge di me.
Tutto questo
Nina si raccontava
mentre il fuoco la ascoltava,
taceva e si faceva brace
sotto ai suoi occhi
e sopra ai suoi andirivieni dell’anima.
All’improvviso
arrivò Sfumino,
il suo gatto mezzo grigio
e mezzo addormentato.
Sfrucugliò due finte fusa,
si prese dei grattini sotto il mento
e si accovacciò di quiete accanto a lei.
Nina lo guardò oltre,
come chi guarda il mare
in cerca di pace.
Poi intravide qualcosa
e con gli stessi suoi occhi distratti
all’improvviso sorrise
e sorrise di quel qualcosa
chiamandolo per nome.