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set 15, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Lo so.

Passo al mio ritorno dopo dieci anni.
Passo con sopra un tetto nuovo, una speranza, molti incubi e tanta voglia.
Passo che credevo nessuno se lo ricordasse.
Passo che invece la valle non scorda.
Son neanche due settimane che ho aperto una seconda chiave, acceso le luci, messo gli annunci e pulito i vetri.
Eppure ovunque volti il naso in attesa di gente sconfigurata ecco che ognuna delle persone che mi si presenta fa una festa con questa cadenza: tu sei il nipote del tuo nonno.
Già.

Lo sai che mi portava sempre i tortellini?
Lo sai che ti comprava sempre la cioccolata?
Lo sai che era sempre elegante?
Lo sai che era un marcantonio?
Lo sai che si fermava sempre a farmi un complimento?
Lo sai che aveva sempre una buona parola?
Lo sai che aveva sempre dei modi gentili?
Lo sai che era sempre pettinato e profumato?
Lo sai che era sempre un Signore?

Lo so.

Lo so che era sempre una festa.
Anche nella sofferenza.
Che quando si alzava si inchinava il mondo,
che quando camminava era un canto,
che quando lavorava era un artista
dallo sfioro di legno e con tempra di ferro,
che quando parlava insegnava
e quando raccontava incantava.

Lo so.

Era mio nonno.

Volevo dirvi
che lui è il primo pensiero ogni giorno quando vedo il bosco,
che sorrido quando viene a trovarmi la notte
che ha lasciato pietre d’amore disseminate nelle sue parole.

Lo scrivo oggi, ch’è un incrocio astrale a congiuntura del mio andare.
E’ un grimaldello a giornata segnata, di quelle che accadono raramente nell’arco della vita.
E allora sussurro prolisso a mo’ di aurora boreale, che a questa latitudine spesso non accade.

Ma’
s’è risvegliata da un’ora,
avrà da armaneggiare col braccio bendato,
raccontargli di nuovo le movenze base della danza
con cui per oltre trent’anni mi ha cullato al mondo.
Volevo dirle
che se non parlo è perchè son fatto male
più m’avvicino al centro del bene più m’allontano dal mostrare
ma quel che m’ha dato
è prezioso
e lo custodirò
per chi verrà dopo di noi
come il più prezioso dei tesori.

Pa’
le sarà accanto
orso pacato, esempio di un ruggito condiviso,
lanterna scuotiossa e maestà d’esempio,
rispetto conquistato sul campo del suo fare quotidiano,
gigante buono d’una altezza
che credo mai raggiungerò in rincorsa
ma che sarà sempre
il mio traguardo mai tagliato
mentre cerco faccio creo altro
con la titubanza del non adeguato
con l’incertezza del sarà giusto
con la paura del non saper mai
dove porterà la mia rotta.

La vostra grandezza,
da sempre,

è bussola del mio andare.

set 6, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Beautiful drum.

Sono le nove,
esco dalla doccia nella foresta
per inseguirti fra la roccia e la mia testa
m’asciuga di caffè per cercarti lontana
assaporo la distanza,
rimani sempre la mia più bella danza.
Fischietto,
ballo in cerchio con me stesso,
qualcuno mugugna, qualcuno piange,
qualcuno nemmeno si accorge
che quasi lo portan via le onde.
Casa,
lasciami a casa sfuocato,
lasciami a casa tra il soggiorno e le piume,
tra il catartico e l’ansia
mentre faccio errori di ortografia,
sento quanto pesa il giro della ruota
e taglio l’erba
innaffio i tetti
infilo le ciabatte per dar da mangiare ai gatti
e mi rimetto a pregare
prima di sudare.
Puccio le assi di parquet
in una colazione dispendiosa
osservo l’inclinazione pericolosa della lancetta destra
sull’orologio appeso al vetro
penso al mio velcro
che non sono ancora andato nello spazio
m’han già messo in croce
ed io non ho neanche l’età per scrivere.
Ieri s’è spostato uno che ha m’ha detto
scrivi per bugia
scrivi per calore
scrivi perchè non puoi fare l’esploratore
in verità non me l’ha mai detto
ma lo sento
che lo avrebbe
ed io in fondo
son ancora qui che m’allungo
ma ancora non tocco.
Devo uscire
andare chissà dove
allora mi metto un papillon
i bermuda
e fingo di ricomprarmi i capelli
vado in cerca di un fiore
un asfodelo
mi piace il suo nome
da cruccio interiore
e bellezza esteriore.
M’infilo oltre la siepe
esco dal cancello
ruoto verso me stesso
andrà tutto bene
lo vedi
lo vedo
batto le mani a tempo
nonostante il temporale
continuo a fischiettare.

set 1, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Rischiatutto.

Il pane da venire sfugge al mio inveire.
Oggi schiude una porta sognando il portone.
Lo spiffero del mezzo mi costa l’eterno, il passato ed il futuro con un pagamento all’accesso.
La timbrica della sveglia ora anticipa l’alzata del sole. Quando mi alzo preparo la colazione, sfioro il mio amore e scommetto che sarà sempre migliore.
Oggi, detto anch’esso, s’apre una voragine affamata del mio meglio.
La sazierò con quel che ho, perchè quel che sono dovrà divenire un buon falò del mio sarò.
Posseggo del legno ed un sorriso mai incerto.
Osservo la muta delle foglie distante dal fruscio.
Fa che la neve sia bianca e non fredda quando coprirà la tormenta.
Che sia una buona coperta, scaldaossa e dal sapor pelle rosa.
Oggi è un vagito per due, una danza per tre, un filo sulla seta dei miei perchè.

ago 3, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Mahna manhà.

Sfronzola in tuba poliedrica la voce sussurrata d’ebano e marmellata. S’insinua in rantolo verso un sesso per tanto. Vorrebbe un rullante per esaltazione ed un automatismo ad iniezione ma si contenta d’un onanismo gratificatore. Le rughe faticano la tela da copertura a pseudo teca e corre via lontano il suo lamento insoffribile e sgomento. Ad un tratto sganasciano le corde in nylon per siglare in lacca cera il termine della caccia. Ecco, ora torna dal suo distretto con un fare di chi lo sa fare senza nemmeno una bavetta di errore o un sunto da sugo per un credersi attore.
Avevamo tutti vent’anni ottanta, s’aspirava sgargianti e si finiva in bettole. C’era chi godeva al frastuono e chi non pensava al sarò: la livella ha continuato la burla senza richiedersi altri sermoni. Prim’ancora s’inzuppava in pane nella via del Sesamo: d’uopo allo sganascio con Elmo e lesti al baciamano con Miss Piggy.

Rider del mio Ph estinto sopra l’importanza d’un acido basico: sangiovese all’avvenire e turchese al tramonto mattutino.
lug 21, 2009 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Bilancia sfalsata.

Mai un grazie non avrai
per un cibo caldo,
un letto rifatto,
un piatto stirato.

Sono un buon disgraziato.
Mai palese attestazione d’affetto
o per sicurezza del tuo ruolo
al limitare della paura sul perso.

Dovrai cercarlo altrove, fra le spese delle ore ad innaffiarti, fra le pieghe delle tormente nel renderti indipendente, nel dono del diamante che ricopri di sputi e che ostinatamente ogni volta si risciacqua nel riavvolgerti. Dovrai scorgerlo in quel che si nasconde dietro alle foglie delle tue ansie, nel tuo abito cucito d’altri e senza cui traspare il vuoto delle scelte dove ogni giorno verso il mio sorriso più bello. Dovrai afferarlo mentre ti si aspetta al termine di ogni giostra centripeda lontana dal tuo baricentro perso, dovrai rubarlo al fiato della mia gola secca quando ti urlo che sei tu l’unica per cui valga una tua scelta. Dovrai averlo in fede nelle parole dette per il tuo bene, scovarlo prima di cedere il passo all’istinto della mancanza o alla chiusa nella difesa prima d’esser luce preferendo una triste penombra. Dovrai ascoltarlo nel secondo che precede la scelta giusta, che conosci, ma che per timore della futura tua te stessa migliore rifiuti tentandoti stanca e preferendoti oggetto di adorazione in miseria commensurata. Dovrai tenderlo come suonano le corde di violino quando si accorgono di valere la purezza del cristallino, dovrai gemerlo nella sofferenza sbocciata, dovrai respirarlo come fiato del tuo fiato.

Ma sopra il tutto
basta un solo tuo sì alla vita
per non dovermelo mai.
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