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Passport please.
Che è come quando mi regalarai
d’indossarti quel vestitino leggero
cosparso di fiori sotto al collo
e sopra alle ciglia appena appena
quel cappello di paglia.
Ma non lo farai
fin quando non sarà troppo tardi
ed allora sì che saranno veri rimpianti
e non più inermi capricci
da splendida donna.
Girare per mare non so come m’è venuto. Sono salito a bordo allungando la mia mano ad un equipaggio e ne sono sceso stringendo forte i nomi di ognuno dei miei nuovi amici.
Fuori il confine è tutto di ferro saldato, grasso, salsedine e stelle. Dentro un simulacro di baita fra onde con cucina, cuccette, cuori casti e cori caldi.
Poi avevo il tarlo del medio Oriente.
Sabbia e guerra, veli e zuccheri.
Così un bel giorno il portellone della Ro/Ro s’è alzato in punta di piedi e tiranti d’acciaio per muovermi il mondo attraverso il Pireo, le danze turche, la grande Alessandria, una manciata di polvere da Gaza ed il sud acheo di un’isola spaccata al centro in vena di cemento.
Di bergamasco ad un certo punto m’è rimasto solo il corpo, genuflesso all’ascolto d’un andirivieni misto fra l’oxfordiano e ‘n coppa a Vesuvio.
Salassato da gradi centigradi ho cominciato a riconoscere quelli ufficiali, divisi dalla coperta e unti dalla sala macchine.
Miglia e quiete ad insegnar la pazienza della distanza,
la lontananza.
Il vuoto e la paura, quando davvero c’è mancato un pelo mi si è asciugato il sudore freddo con il lume di una candela promessa.
Ho dato ma soprattutto avuto, salutato dai delfini incastonati tra le tessere d’un mosaico d’antica bellezza e costellato da miseria.
Mi sono evaporato dentro un Hamman disarticolandomi il corpo e lasciando disperdere il pensiero.
Più ero lontano più mi sentivo vicino al centro del mio pensiero e quando per un attimo ho creduto d’essermi perso ho compreso che nulla avrebbe imprigionato il blu del mio oceano.
Perciò ho cominciato a ridere.
‘Quando qualcuno ti punta una pistola addosso, tu sorridi’ ,scriveva Tiziano.
E questo è stato.
C’è questa strana alchimia che per quanto non la si creda finisce per ripresentarsi al primo passo: succede che pensi sempre di partire con la testa nei tuoi due piedi e ti ritrovi allo sbarco con nello zaino mille vite d’altri che nel frattempo hai già compreso esserti entrate dentro.
Per ogni ruga di volto avresti una storia anche stavolta: di qualcuno appena abbozzata ma quasi sempre raccolta come un fiume in piena davanti ad un tramonto oppure sussurrata fra un’onda e l’altra od ancora urlata nell’assordante rumore della bestia a motore.
Scrivere di loro è un po’ come allungare la rotta.
Un giorno neanche tanto lontano ognuno di quei ragazzi approderà ad un destino diverso ma mi piace pensare che fermarne l’istante fra le virgole delle parole possa conservare quel che ad un certo punto essi erano e che senza non sarebbero.