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dic 29, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Carol.

Se si anagramma quel che n’esce è che non si può dare la colpa all’interlocutore ignoto.
Che colpa non ne ha.
Non si può oscurare lo sguardo con chi si lamenta. Non del bersaglio presunto.
Ribaltarsi. Saltare al di là del fosso.
Guardare con gli occhi del nemico.
Scoprire il migliore amico.
Scrutare i passaggi dei propri lembi e comprendersi.
Se le prima ciglia allo schiuso si lamenta della troppa luce non è il sole il cruccio.
Lui fa solo il suo ordinato imperativo dovere in compagnia di tutto il tondo.
Non si può dedicare una rima se prima non si è già compreso l’incipit della vita.
Ave Maria, sei la prima a darla via.
Blasfema d’un’ aria in attesa.
Basterebbe un respiro.
Basterebbe.
dic 22, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Doppia V.

Smolla la bava magica dal capobranco
c’è un piano migliore ottuso al buonsenso:
sostiene che lo sforzo non avrà compimento
che dallo smembramento morirà lo smalto.

Mi piace, credo che adotterò il tuo rifiuto:
nonostante sia ameba di una qual cosa che era
lotterò sapendo sputi in cambio di una vela
ricacciando incredule urla nel pacato imbuto.

Arguto, questo karma d’amore svenduto,
comoda stamberga di contropelle in dazio:
intagliata nello sterno dell’ultimo rifugio
goccia smossa a trattenere l’estrema razio.

Tradisce in terza persona soave l’assenza
pesce che sbatte all’offerta dell’aria alta
incolpevole è il cielo di tua arroganza
nata per l’acqua s’abissa l’anima densa.

Lucida perfidia d’uno splendido saluto
sarà manna in cotone nel guanto del pugile:
distanza sorda dal sorriso al fulmine
tu svelato difetto non del creatore muto.

dic 14, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Duole di medesima desinenza.

Coffee Shop e vetri appannati.
Al nascosto per darmi sfogo mi restringo fra quattro mura per urlare la mia ira.
Non è depressione, non è tristezza, non è incomprensione d’essenza.
E’ solo mancanza di coraggio nel cercarsi diversa, è la discesa della scelta, la debolezza dell’erba medica.
E’ la scusa come difesa di una nullità d’offesa.
Niente si altera, niente reca danno e se m’incazzo non è per il mio fegato malato o per la voglia d’estirparmi il cavillo della morale, che tanto vale quel che vale.
E’ perchè sei l’unica persona che pagherà di tutto questo un pegno: nè io nè ness’altro al mondo sarà più un tuo bersaglio dentro, un giorno.
Neppure vale l’incomprensione tattica: per scontato che sia codifico decriptando anche se non ce n’è un grammo di vanto: ti si capisce eccome.
Ti si capisce a tal punto che questo ‘?’ non è fatica d’entrarti dentro, ma una mancanza di tua ammissione.
Non bisogna capirti.
Bisogna che tu capisca.
E che, per conseguenza chiamata rivoluzione, prenderne coscienza ed essere fulcro che di te eleva se stessa.
La vecchia solfa: com’è che tutto il resto funziona ed io invece.
Più grossa è la possibilità di uno scudo di scusa
e migliore sarà il nascondiglio.
Qui nessuno accusa: io gli indici non li punto, al massimo li trovo utili in lettura per riorganizzare la vita.
Se la risposta è dura beh, non è una rabbia, non è una gioia, non è una seppur utile ramanzina.
E’ più che una medicina, è una cura.
Prescritta da osservare, difficile da accettare, doverosa per migliorare.
Per te, inaccettabile.
Ma fra un tempo che non ha tempo la speranza di chi ti ama è quella che ti riguarderai dentro, con appeso al chiodo il guinzaglio dell’impulso accanto a quel collare che ti strozza la voglia, e sorridendo farai quello che da solo ti varrà il senso del tuo passare in questo universo.
nov 24, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Chopper, alle palle!
La cameriera del ristorante è nuova,
suda deodorante e appunta le ordinazioni con mano tremante. Va dove non capisce intorpidita dal caos, spesso sbaglia ordinazioni e appoggia i vassoi sporchi sulle sedie di tavoli altrui.
Tuttavia non resta ferma, anche quando ha paura di richiedere al caposala la stessa comanda.
M’è già d’un simpatico transgenico.
Sparecchiare e apparecchiare, portate e sporcare.
Un giorno sarai una superstar, basta insistere.
Il nome di questa band è Elementi sghembi e siamo davvero onorati che abbiate corso il rischio di stare ad ascoltare più del dovuto il nostro ritmo asincopato. In realtà i Blubaluba non sono potuti venire ( caso alquanto insolito vista la rinomata carica erotica della voce solista) così vi terremo compagnia con i nostri strumenti sciancati almeno fino all’otturazione dei vostri lembi cutanei.
Qui accanto a me è gia pronto mister triangolo che stasera si avvarrà della collaborazione di questo pezzo di lamiera ondulato. So che non gli dareste più di quattro lire ma per favore concedete loro una chance: vi assicuro che appena le vostre trombe di falloppio cattureranno questo stridio non vorranno più andarsene. Davvero.
Ed ora fate un bell’applauso a lord alcool: senza di lui saremmo belli che finiti.
Bene, siamo pronti per cominciare.
Veramente morto è un paradosso.
Se non lo sei orbene è una parvenza di antitesi ma se lo sei allora che t’importa di fingere?
Falsità d’esistenza. Si può stare tutta una vita in pressa di questa religione.
Abbiamo organizzato questo spettacolino, sta a sentire: sala da quattrocentoposti tutti occupati, si spengono le luci e noi sul palco che osserviamo. Per due ore, telecamere puntate sulle nostre espressioni facciali e maxischermi in favore di platea. Non facciamo altro che scrutare le rughe di chi ha pagato il biglietto e si incazza per una cosa che non capisce. Al massimo suoniamo qualche pezzo, ma di quelli che non c’entrano una sega, che ne so una ninna nanna, un jingle bell e un pezzo di Janis Joplin.
Basta che ci siano ripieni di campanellini a svegliare.
Un’altra cosa che mi piace ascoltare ai concerti acustici è il rumore ovattato delle sedie dei musicisti quando si sistemano per preparare il nuovo pezzo o accavallare le gambe per appoggiarci sopra un qualsiasi strumento.
Sono meglio di mani curate.
Ognuno dovrebbe curarsi, o almeno aversi cura.
La scala sociale, sebbene antincendio, andrebbe bruciata.
C’è troppa gente che vale al freddo e troppi culi caldi flaccidati inutilmente.
Quando la nuova cameriera s’è avvicinata a quello col doppiopetto e lo stecchino in bocca aveva fretta perchè nella testolina già programmava di portare i ravioli con bufala al cinque.
Il vino che ha versato sulla giacca di stuzzichino non è stato errore.
Era destinato a ungere il grasso.
‘Che cazzo fai – Vaffanculo’ è un’espressione di per se già infelice se estrapolata da un qualsiasi contesto. Detta fra due amici che scherzano la si può comunque esacerbare ed edulcorare ma sputata addosso con contorno di saliva da stronzone incravattato a ragazzina buongiorno è il mio primo giorno è decisamente troppo.
‘Il suo stecchino è troppo piccolo, signore’.
‘Cosa?’
‘Sono fermamente convinto che il suo stecchino sia troppo piccolo. Certo, non se comparato al suo inutile fac-simile membro riproduttivo, ma rimane pur sempre troppo piccolo per ficcarlo tra i due buchi antipodi del suo corpo e rosolarsa, signore.’
‘Cosa?’
‘Buona giornata’.
Si, la scrittura è inspirazione.
Ed espiazione.
Perchè di calci ho parole, ma a volte servirebbe mira di zebedei.
nov 13, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Appunti da trasbordo.

Sopito o sedato c’è un gran divario d’atto.
Braccio di ferro con la paletta m’impone di ricetta una tregua.
Ci sono voci che t’accolgono d’un sussurro per poi, all’indietro, toglierti un fiato da far tremare i polsi ai pianoforti.
Un giorno ti scriverò dal lontano.
Tornerò a permettermelo,
che adesso ho ancora da sgranellarmi questo chiodo che non se ne esce almeno fino allo scalzo dell’anno.
Rimetterò la penna nella sabbia e ti profumerò di porti, usanze e spezie come mai ne avrai addosso.
Lo farò, lo sai, questo da sempre è stato il mio credo di zaino.
Non fa nulla la sofferenza che senti, non curartene.
Serve per l’imparare a macinare, assorbire e detestare.
Abbi almeno una fede, che in un modo che non ha tempo torneranno a spezzarsi le catene.
Per prima cosa cercherò un vaso, lo riempirò della terra che ora d’accoglienza mi stringe e ci pianterò un seme col tuo nome.
Poi andrò giù al molo e finalmente, leggero, imbarcherò il mio progetto.
Sarà dura, ma meno d’adesso.
Sarò lontano ma solo per nostalgia.
Tornerò sempre da te.
Ma ci son troppi abbracci e troppe mani che aspettano,
troppe storie dentro uomini che non posso ascoltare oltre questa vita.
Voglio raccontarne perchè è la mia natura.
Scriverne m’aiuta ad essere più quieto.
Lo sai,
non resisterò mai.
Ci dev’essere qualcosa oltre quel punto.
Sento lo scricchilio, ormai è certo.
Hanno ricominciato a lavorar per me, lassù.
E in un modo o nell’altro verranno ad andarmi.
Spolvera la polvere,
spolvera la polvere,
allaccia i lacci,
allaccia i lacci,
punta il dito,
traccia la rotta,
fiuta l’aria,
scalda la voglia
canta e balla.
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