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set 13, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Freighter.

L’uomo che urla ha un vestito di cera ed un paio di occhiali color del blu.
Regge un’asta improvvisata dove sospende l’intera folla che reprime la voglia cacciando in fuori la lingua.
Servirebbe un francobollo diverso di modo che la spedizione sia lenta per gustarsi l’arrivo all’altro capo del mondo.
La mia illusione è stata quella di farmi ogni giorno migliore.
Ed ora m’è rimasta la sola consolazione d’aver più di una sensazione: tra poco avrò molte più parole al posto del cuore.
Magro bottino che non ricompensa il mio destino.
Monco d’un Perù stampato storto m’emetto raro ed introvabile in cerca d’un mio simile.

Stamattina prima della foschia ho fermato l’auto accanto al fosso. Dal mio spegnersi del motore già tendeva ma quando ho chiuso la portiera se n’è uscito all’improvviso ed io non ho potuto fare altro che ammirare quel presagio di corvo danzarmi in volo sopra la testa.
Nel becco una promessa.

Adoro i sorrisi senza denti, per lo più apprezzo il tentativo di chi ne ha già passate e ancora insiste. E’ meglio di un Marco, dodicianni, mai avuto carie in vita mia.
E’ passar sopra al fluoro per la ricerca del ricolmo alla fame.
Certo, chi non ne ha mai avuta non si merita un porsi il problema.
Ho questa questione del fiato corto da rispondere. Devo abbattere qualche montagna che insiste a resistere alle erosioni qui dalle mie parti. Voglio più aria, più paesaggi, più voglia di rimettermi i panni.
Fermo sul primo gradino della mia vita ad ingresso mi chiedo dove sia la via d’uscita.
Non mi torna la ricetta della nonna: ho messo per davvero tutti gli ingredienti, ho mescolato con cura, ci ho messo l’impegno e la passione che fanno la differenza ed ho cucinato a fuoco lento ma quando ho aperto lo sportello del forno all’improvviso tutto s’è restituito crudo e freddo.
Mancanza di gas.
Sia per l’ebrezza che per una esplosione di splendore.
Dov’è, com’è,
questo chiamato Amore?
set 6, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Cinquanta.
I palloncini con sopra i colori sgargianti, le scritte con i pastelli, gli affetti, i muri dipinti di una casa che era la tua, che è la tua, lo è stata ma non ne conosci più i profumi.
Cinquant’anni sono tanti, osti. Sono mezzo secolo di storia. Ne succedono che neanche riesci a tenerne il conto. Cinquant’anni sono troppi.
Mio padre ieri sera aveva un sorriso che di solito nasconde.
C’erano tre torte, la famiglia, quella larga, le candeline che suonano un happy birthday monofonico e le immancabili foto con il flash da occhi rossi.
No, non sono convinto abbia cinquant’anni. Non è fatto per quest’età.
Sono sicuro che ne ha trenta, ne ha sempre avuti trenta. Nella mia testa non ha quel grigio accanto alle tempie, non ha quelle guance paciocche e smunte.
Già ogni tanto pensare che ne avesse più di quaranta mi era un incastro difficile. Ma cinquanta non è comprensibile.
Poi anche io faccio la foto.
A due centimetri da lui, mi accovaccio per rientrare nell’obiettivo.
E divento adolescente. Con il motorino scassato, i soci, la voglia di patente B.
E m’accorgo della sua manona che mi sembra m’avesse raddrizzato la schiena giusto ieri.
Tu non mi capisci, nessuno mi capisce, io prendo e vado.
Non raccontarmi balle, tu al massimo hai trent’anni, pa’.
No, trent’anni gli hai tu.
Agosto ’76.
Settembre ’56.
L’anagrafica è dogma.
Io trenta, lui cinquanta.
Dove sono finiti questi anni, dove ho lasciato i capelli lunghi e la radio?
Perchè non lavoro più in cantiere?
Perchè non ho una famiglia, non ho una casa, non ho la mia utopia degli anni ottanta?
Come hai fatto a volermi bene fino ad ora? Perchè non ti incazzi?
Tu non hai cinquant’anni, l’imbroglio è immenso.
Io dovevo essere altro adesso, tu non sei rimasto quello.
Ci pigliano per il culo, pa’.
Lasciali perdere, non stare ad ascoltarli.
Lasciamo la festa, andiamocene sul camion.
Riportami a scaricare i forati.
Direzione Milano.
Tu guida come sempre, io resto sul sedile accanto.
Anzi, mi incastro giusto dietro al sedile, fra il cartello del carico sporgente e la cerata unta di grasso per scacciare la pioggia.
Come la prima volta, che ero uno scriciolo: neanche un chilometro e m’addormentavo come in una culla.
Se passeremo troppo tempo insieme, basterà cambiare disco al tachigrafo.
Cinquant’anni.
Trent’anni.
ago 28, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Scintilla.

L’ Oltralpe ha colori che non si dicono.

Avrei qui da sedermi ed ungermi di quanti pastelli ma non ora e non adesso.
I fiumi scorrono qualsivoglia placidi
e delle casette bianche con tetti d’ardesia aguzza ne sono i bordi.
Più in là girovaga una mucca: la pascolo col dito.

La notte che ho dormito in tenda

ho sognato la baia ed una promessa:
quando sarò grande affitterò un albergo
con i vetri unti in riva all’oceano.

Guarderò le persone
entrare ed uscire dalle loro vite
e non chiederò altro che nulla
di quel che si vogliono sentir dire.
Imparerò una nuova lingua
arrotolandomi la lingua
ed offrirò drink da tutti i paesi del mondo.
Quando l’acqua si incazzerà con me
prenderò la mia tavola da windsurf
ed andrò ad accarezzarla.
La notte farò la conta delle stelle
e ne perderò di vista una, quella nera,
che sempre si nega.
Il sole brucerà i miei polpacci
ed avrò labbra gustose di sale.
Prenderò un brevetto da aviatore
per portare a spasso pubblicità
nel cielo del bordospiaggia con scritto:
questa è la mia unica gabbia.
Sarò sicuramente imperfetto
a tal punto da comprendere l’amore.
Darò consigli eccellenti persino al mio carattere
che darne agli altri è semplice, splendido,
ma darli a te stesso beh è tutto al di là dello specchio.

Amerò una donna come l’amo adesso,

ma sarà tutto diverso.
Un figlio che non conosco all’età di tre anni
mi appoggerà minuscole dita sulla spalla
ed io mi sentirò re in un castello che non posseggo.
Avrò cura di me stesso,
vestirò meglio.
Lascerò alla mia barba raccontarmi la vecchiaia
e girerò ancora con lo stesso stupido cappello.
Farò fatica a dipanare la gioia
e donarla nel modo che ognuna di te si aspetta.
Macinerò chilometri e miglia sopra un maggiolone cabriolet:
farò diventare buone persino le baguette
e quando mi diranno di assaggiare i loro croissant
mi metterò ai fornelli e cucinerò del cibo
ripieno di vera passione.
Non sarò bravo a fare niente,
ma proverò sempre a fare di tutto.
Salirò sulle torri di ferro più alte
e dal nulla slaccerò due ali dalle mie spalle
per portarti a spasso e mescolarti ai venti.

A quel vecchio che pescava placido

chiederò la formula
per comprendere l’incomprensibile.
Quando mi sorriderà
avrò capito tutto:
tornerò da te correndo
e finalmente parlando
con le giuste sensazioni,
quelle da secondo posto di sempre,
proverò a svelarmi
per quel poco
che credi
che brilla.
Ma fai presto:
sarà solo una scintilla.
ago 9, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Noise.

Vinci, svinci,
gonfia la rete,
soffia le bolle,
capirci più niente
assorto da ore.
Farci cosa farci
nulla quando tu
fermo si passa
dal deserto alla tundra.

Quattro sono i punti cardinali,
otto le combinazioni astrali,
rossa è la rosa dei venti,
ma qui si rimane per nulla sgomenti.
Ho bisogno di polvere,
acqua, castelli e sabbia.
Croissant e ferro,
zinco e piede di stinco.

Ho bisogno di parole sassate
paletti per una tenda stabile
altro che si gonfia in due secondi
se l’aria dentro smonta il tramonto.
Cara fatina regalami un monte
sospeso sull’acqua
quando arriverà la marea
rimarrò ad aspettarla
s’alzerà fino alla gola
ed urlerò perdio
per la vita
per la gioia che manca
per io che son puntino
sputo dal cielo
cotto dal sole
in balia dell’ormone.
Ho bisogno
d’un orizzonte blu
d’un sereno spaccacielo
d’un amore
che carezzi il mio amore.
ago 1, 2006 - Senza cicatrici    Dicevi?

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Starlette.

Cosa stai a fare?
Brontolo d’acqua chiara!
Il mio circo è poggiato sulla sabbia:
finalmente posso insaponarmi il cielo
che sai gli uomini sono un po’ tutti così.

A Nashville è comparsa un’orchestrina
che si vanta d’essere la prima:
contestualmente s’è diffuso omicida
del country in tutta la cittadina.

Sagaci di calure improvvisate
amiamo in bianco e nero il Tennessee
c’incastoniamo fra i suoi film
ma io non me la prendo
e canto mentre sparo.

Singulto d’un fotoritocco
spergiuro d’aver voluto
sebbene sia per inciso
una star del film muto.
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