Per uno che arriva da Bergamo, i paesi nordici son nordici, non gli entra in testa il termine Scandinavi. Stona.
Nordico è più familiare, sa di freddo, e uno di Bergamo che vede il sole – quello vero – solo a Agosto, il freddo se lo porta senpre un pochino dietro.
Così quando arrivi a Copenaghen mentre a Riccione sai che c’è qualcuno che si butta tutto ignudo dal Kamikaze dell’Acquafan, beh quando arrivi in questa strana città e metti il naso fuori dal camper ti accorgi che il Freddo qui, ha la F maiuscola.
Se ne sbatte di te, ti piglia in giro, e ti convince che forse era meglio portare un maglione in più e fare meno il divo alla partenza.
Ma tant’è, ora ci sei.
Mi son messo a parlarvi del freddo non perchè sia l’argomento di questo pezzo di blog, ma perchè altrimenti non vi incastrate nello scenario in cui tra poco entrerete.
Prima serviva congelarvi.
Ora, pensate a questa piazza, la piazza centrale di Copenaghen, sa il diavolo se me ne ricordo il nome, ma dovreste vederla.
Arrivi col treno e ci sei già in mezzo, a destra parte la via principale, poche auto,molti tram, incontabili le biciclette. A sinistra palazzoni, mura senza tanti fronzoli, ma le finestre sono uno spettacolo. Tanto essenziali fuori le case quanto piene di vita all’interno. Ogni finestra un acquario, ma niente pesci tropicali, solo persone. Ogni finestra una storia.
Davanti ci sono i cancelli, sbarra,verde,sbarra,verde,sbarra,verde. Dietro le sbarre, il Tivoli.
Tivoli è un parco. In mezzo alla città, a uno sputo dalla piazza,giuro c’è un parco.
Che parco è il termine giusto ma non sai come associarlo a quel che vedi. Timbri il biglietto, entri e senti. Attrazioni, giochi, montagne russe son le prime che scuotono le orecchie. Hai un flash e pensi di essere a Gardaland. Ma qualcosa non quadra. Sei tentato di staccare i colori sulle faccine del cubo di Rubik che hai in testa, barare, e convincerti che davvero tra poco vedrai il draghetto Prezzemolo. E invece sei in Danimarca e capisci che la differenza è un passo più in là, quando dimentichi gli ottovolanti e colleghi il cervello agli occhi e ai chioschi che ti ritrovi davanti e che prima eran vuoti, insignificanti ma che adesso stanno prendendo vita.
Chioschi perchè non ce n’è uno solo, sono sparsi. Ma a te colpisce il primo, quando cinque elegantoni che sembrano appena sbarcati da una serata di gala su un transatlantico ti passano accanto con infinita eleganza e ci vanno dritti in mezzo.
Scoprono i teli, si siedono.
E comincia la musica. Blues in questo caso. Ti eri seduto su una panchina all’inizio perchè non capivi bene. Ora ti alzi, per rispetto di quel blues nato dal nulla ma che ti sorprende. Blues, in mezzo al parco. In mezzo alla città. Son neanche le quattro del pomeriggio e questi mi fanno blues.
Ruoti la testa, segui il sentiero. Altro chiosco. Soul. Ruoti la testa, segui il sentiero. Altro chiosco. Jazz. Una via crucis del sound.
Alla fine arrivi all’auditorium, lo leggi sul cartello e pensi: au di to rium. Musica colta. Lirica Classica. Questa poi. Entri.
Pianoforte e Clavicembalo. Ascolti. Esci dopo un ora di accordi lenti e mielosi, sai che domani comprerai lo stesso la Gazzetta dello Sport in bianco e nero di quelle che trovi nelle edicole all’estero ma intanto hai ascoltato pianoforte e clavicembalo.
Trotterelli ancora in mezzo al parco, è quasi il tramonto ormai, sei quasi all’uscita e trovi il palco. E sotto al palco jeans, magliette strappate, piercing persino sulle unghie.
Ti fermi, il tuo cervello fatica ad associare il piano sequenza.
Poi è di nuovo musica. Rock. Blood Houd Gang. Il bassista a un certo punto si incendia i capelli, il cantante è un allievo di Axel Roses e a metà concerto si spacca una chitarra.
Notte. Esci dai cancelli.Sbarra.Blues.Sbarra.Soul.Sbarra.Jazz.Sbarra.Classica.Sbarra.Rock.
Esci e ti ritrovi in piazza (ricordate?).
E torno al punto di partenza, la piazza. Solo che ora è notte, anche se rimane la piazza centrale.
Ma adesso è diversa, ci son degli scatoloni neri in fondo e un coso con delle lucine, ma non si vede bene perchè son coperti da gente che ci passa davanti.Danzando.
Capisci quando sei così vicino da scrollarti dalle orecchie gli assoli del chitarrista rinchiuso dietro alle sbarre del Tivoli.
Ti avvicini e lo senti.
Valzer.
Due casse, un amplificatore, i lampioni accesi.
E in mezzo coppie di ballerini, di ogni età, di ogni sesso, anche incomprensibile agli occhi.
La piazza è piena, la città è sospesa a ritmo di valzer.
Sembra tutta lì, Copenaghen.
Sembra tutto lì, per una sera, il senso della vita. A ritmo di valzer.
Se ci andate, ricordatevi di portarvi un maglione in più.
Una bella prova a dirla tutta.
Perchè ci vuole abilità a dir cosa stai facendo adesso. Son tutti bravi a pigiar tastini, ma a tradurli in emozione beh, è un altro gioco…
Il pallone d’Achille è prima di tutto una trasmissione radiofonica.
Di quelle toste, non roba per tutti. La conduce Michael, sta trasmissione, e accanto a lui il fido compagno Nino.
Nino,l’apoteosi dell’assurdità.
Ora succede che al pallone d’Achille le parole volino nell’etere, quei due si mettono lì, si attaccano al megafono e parlano.
Le parole danzano, galleggiano nell’aria, ti arrivano dentro al cuore. E quando non ce la fanno più..zac… parte la musica.
Il problema è il fumo. Il fumo in cui svaniscono quando si spegne la lucina ON THE AIR.
Per questo nasce questo blog.
Per essere sempre in onda dentro la vostra testa.